Il sogno di ogni cassettista è di arrivare, un giorno, a possedere uno scrigno traboccante d’ogni genere di tesoro. Molti di non non vedranno mai realizzarsi un tale obiettivo, ma questo non ci impedisce di fantasticare sui più grandi tesori di sempre. In questo articolo, andremo alla scoperta di una ricchezza che ha dell’incredibile: non uno scrigno, non un grosso forziere, ma un’intera stanza, riempita d’oro fino al soffitto.
Ecco a voi la storia del leggendario tesoro di Atahualpa, l’ultimo imperatore degli Inca: un racconto che ha qualcosa da insegnare anche a noi moderni…
Chi è Atahualpa?
Atahualpa è uno degli eredi al trono dell’Impero Inca. Questo grande Stato precolombiano si estende sui territori degli attuali Ecuador, Perù e parti di Colombia e Cile. Si tratta di una civiltà arcaica, appena entrata nell’Età del Bronzo, che non conosce la scrittura: gli ordini dell’Imperatore vengono diramati dai suoi messaggeri grazie a un sistema di proto-scrittura basato su dei cordini annodati.
L’Impero Inca, pur dotato di strade, non conosce l’uso della ruota. Ad ovest dell’Impero v’è la vasta desolazione dell’Oceano Pacifico, ad Est, l’impenetrabile foresta amazzonica, abitata dai tagliatori di teste, a sud i combattivi indigeni cileni, a nord le ostili tribù colombiane. In altre parole, si tratta di un Impero vastissimo ma isolato, con pochi contatti con il resto delle Americhe. Gli Inca non conoscono l’uso della moneta, in quanto la loro unità di misura della ricchezza sono terre e schiavi; l’oro e l’argento sono ritenuti il sudore del Sole e le lacrime della Luna, e utilizzati quindi solo a scopo religios-cerimoniale.
La mancanza di utilizzo dei metalli pregiati come moneta e la presenza di ricche miniere portano ad una notevole accumulazione di oro e argento nei sontuosi templi Inca.
L’arrivo di Pizarro
Quando, nel 1531, il Conquistador Francisco Pizarro raggiunge via nave la costa pacifica dell’Impero Inca, trova una nazione in preda alla guerra civile. Pensa subito di approfittarne, offrendo i suoi servigi ad uno dei due contendenti in lotta per il potere, ma le sorti del conflitto volgono presto a favore di Atahualpa, signore della settentrionale Quito, che ha saputo sconfiggere il fratello Huascar, regnante su Cuzco, l’antica capitale dell’Impero. Atahualpa lascia avvicinare senza troppe preoccupazioni il piccolo drappello di Pizarro, che ha con sé solo centocinquanta uomini. L’imperatore Inca, forte di un esercito di ben trentamila unità, commette un errore imperdonabile: la sottovalutazione.
Pizarro arriva con i suoi soldati alla piazzaforte di Cajamarca. Sceglie con cura la sua posizione: è una cittadina fortificata, in cima ad un’altura, con una grande piazza circolare al centro. Il conquistador dispone i suoi uomini negli edifici perimetrali, puntando i fucili ed i pochi, preziosi cannoni faticosamente trascinati su quella rocca verso il centro della piazza. L’ultima preparazione è di nascondere in punti strategici la sua cavalleria, arma che gli indigeni temono particolarmente.
La straordinaria vittoria spagnola
Dopo una notte insonne, trascorsa a preparare le armi e a pregare, gli spagnoli vedono avvicinarsi l’imperatore Inca con un nutrito seguito. Il grosso delle truppe viene lasciato fuori dalle mura cittadine, e non parteciperà allo scontro: Atahualpa, sottovalutando il nemico, si presenta con la sola scorta imperiale, forte comunque di settemila uomini, contro i centocinquanta di cui disponeva Pizarro. Dopo aver inutilmente tentato di dialogare con l’imperatore, il quale arriva a gettare in terra con arroganza la Bibbia che il sacerdote della spedizione gli porgeva, Pizarro dà l’ordine di attacco. L’eccellente scelta della posizione, l’impreparazione del nemico, la superiorità della cavalleria e delle corazze spagnole e le armi da fuoco danno a Pizarro una schiacciante vittoria: gli spagnoli non riportano perdite, i caduti Inca sono migliaia.
Atahualpa, imperatore degli Inca, è catturato.
Pizarro sa che deve muoversi in fretta, prima che lo sgomento dato dalla cattura dell’imperatore lasci il posto alla volontà di rivalsa delle truppe. Fa perciò condurre Atahualpa in una stanza e discute le condizioni per il suo rilascio. Atahualpa, avendo compreso che gli spagnoli sono fortemente interessati ai luccicanti metalli che adornano i templi del suoi impero, ma che per gli Inca non hanno valore al di là di quello religioso, promette di far riempire la stanza d’oro, fino all’altezza che segna col suo braccio.
Il leggendario tesoro degli Inca
Gli storici ritengono che l’ammontare del riscatto, solo per quanto riguarda l’oro – viene portato anche molto argento – sia stato di circa ottanta metri cubi. Parliamo quindi di oltre millecinquecento tonnellate d’oro: per mettere nella giusta prospettiva questa cifra, ricordiamo che le riserve auree dello Stato italiano sono pari a 2450 tonnellate circa. A Pizarro servono numerosi convogli per inviare in patria quell’oro, e non è che una parte di quanto avrebbe poi trovato nel vasto impero Inca.
Dopo aver catturato – e giustiziato, per non correr rischi – Atahualpa, Pizarro tenta un’impresa ancora più ambiziosa: la conquista di tutto l’impero Inca. Grazie alla fama di invincibilità derivante dalla cattura dell’imperatore, alla paralisi istituzionale derivata dalla mancanza del sovrano, alle minoranze sottomesse dagli Inca ostili all’etnia dominante che si alleano con gli spagnoli, ed al suo indubbio genio militare, nello stesso anno – il 1533 – Pizarro entra da vincitore nella capitale storica dell’impero Inca: la leggendaria Cuzco. È l’alba di una nuova era per il Sudamerica, che abbandona il tribalismo ed il paganesimo precolombiani e si avvia a diventare il continente che oggi giustamente è noto come America Latina.
Cosa impariamo da questa storia?
Atahualpa e Pizarro, al di là del fascino leggendario che l’ambientazione esotica e l’epoca remota trasmettono, possono insegnare alcune lezioni a chi oggi detiene valori.
In primo luogo, è fondamentale la discrezione. Pizarro arriva nell’impero Inca aspettandosi di trovare esattamente quanto troverà: una popolazione arretrata che ostenta riserve auree ricchissime. Quando poi Atahualpa cade nelle mani degli spagnoli, li stupisce ulteriormente, promettendo – e facendo arrivare – un tesoro favoloso. La vista di tanta abbondanza determina probabilmente Pizarro ad insistere nel suo piano di conquista, immaginando – correttamente – che molte altre ricchezze siano a portata di mano in quel vasto territorio. Possiamo quindi dire che l’ostentazione è nemica della sicurezza.
Indubbiamente, l’errore più palese di Atahualpa è di prendere sottogamba gli spagnoli: certo della propria invincibilità, si presenta con un seguito numeroso, ma quasi disarmato, in una vera e propria trappola: un errore che gli costa il regno e la vita. Qui ci viene confermato quanto sia grave sottovalutare le potenziali minacce.
Un altro motivo per cui Atahualpa viene sconfitto da Pizarro è l’impreparazione nell’affrontare un avversario che fa uso di tecniche inattese. Per questo, è necessario conoscere le potenziali minacce e prendere le contromisure più adatte al caso.
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